venerdì 27 aprile 2012

Una spia non basta

McG, il cui nome all’anagrafe risulta essere Joseph McGinty Nichol, è un regista il cui film che è andato peggio ha incassato “solo” 43 milioni di dollari, tutti gli altri invece ne hanno superati i 100, compreso il qui presente Una spia non basta che prima di arrivare in Italia ne ha già fatturati 160. Costato 65 milioni, ha come protagonisti Tom Hardy e Chris Pine nel ruolo di due agenti segreti pronti a fare di tutto l’uno per l’altro sino a che casualmente una donna non si infilerà nei loro cuori. A quel punto, sarà guerra, come dice il titolo originale, This means war.
Nei primi minuti del film ci vengono mostrate scene ad altra adrenalina, sparatorie in vestiti eleganti, e immediatamente si immagina un collegamento a Mission Impossible e James Bond, poi la pellicola cambia marcia e veniamo trasportati nell’attraente Los Angeles dove il lungometraggio si trasforma in una commedia romantica. Un miscuglio di generi ben riuscito, quello de Una spia non basta, come quelle canzoni di successo globale dei Linkin Park che mischiano il rap al rock andando a formare qualcosa che, se non fosse ben organizzato, non sarebbe nemmeno orecchiabile e che invece scuote, invade, rende partecipi.
Le atmosfere, i luoghi, i colori, è facile sognare di farne parte, è facile immedesimarsi con uno dei personaggi della pellicola disposti a tutto per amore, se questo è amore. Inoltre c’è da dire che Reese Witherspoon è un’attrice scelta perché è brava a recitare, perché così bella da far girare gli uomini non è, è il suo personaggio che ha carisma, è lei che riesce a darle quel di più che costringe i due uomini ad affrontarsi.
Una spia non basta ha il grande merito di riuscire a soddisfare sia gli uomini che le donne. Se avete bisogno di adrenalina condidata con un pizzico di romanticismo e un duello da Far West, questo è il film che fa per voi! Un lungometraggio che vi trascinerà per l’ombelico, vi farà ridere e uscire dalla sala con pensieri felici invece della solita e malsana noia/disperazione.
Un’avvertenza: il trailer svela troppo, non guardatene più di metà.

Una spia non basta
This means war
Regia: McG
Sceneggiatura: Timothy Dowling, Simon Kinberg
Interpreti: Tom Hardy, Chris Pine, Reese Witherspoon, Chelsea Handler, Til Schweiger, Laura Vandervoort, Angela Bassett, Rosemary Harris, Warren Christie, Natassia Malthe
Durata: 97′
Produzione: USA
Distribuzione: 20th Century Fox, 20 aprile 2012

martedì 24 aprile 2012

Battleship

Nello spazio, in un’altra galassia, è stato trovato un pianeta simie al nostro sia per condizioni climatiche che per la distanza con il sole. La NASA, mediante delle parapole posizionate sulle colline di Los Angeles e attraverso un satelitte che incontra la traiettoria delle antenne una volta ogni 24 ore, decide di mandare un messaggio in direzione di quel pianeta, ma uno scienziato avverte: “Quando gli alieni arriveranno sulla terra sarà come Colombo con gli indiani, solamente che non saremo gli indiani…”
Dallo stesso regista di Hancock, dalla catena dei giochi Hasbro (Transformers, per intenderci), è stato creato un film sull’universale gioco che ha divertito una generazione, Battaglia navale. Mai prima d’ora Hollywood aveva tirato fuori dal cilindro una pellicola avente come principale protagonista della storia le moderne navi attuali; di solito, infatti, la suggestività e l’eroismo nautico vengono mostrati in lungometraggi ambientati principalmente secoli fa, in infinite lotte tra pirati e corsari. E forse è questo uno dei principali motivi per cui la marina militare americana ha acconsentito a mettere a disposizione tutti i suoi principali mezzi ed ha risposto, paziente, a tutte le domande dei membri del cast. Per la prima volta, la marina era la forza eroica che difendeva l’America, e quindi il mondo.
Tralasciando alcune situazioni assurde, come il fatto che che le navi spaziali che hanno volato e si sono mosse a velocità incredibili per tutto lo spazio sulla terra sono in grado di spostarsi soltanto a balzi, come se fossero rane, la pellicola diretta de Berg presenta degli elementi interessanti: ad esempio, il personaggio principale, interpretato da Taylor Kitsch (visto di recente al cinema nei panni di John Carter), ha un’evoluzione da capogiro, passando dal rubare un burrito in un alimentari a diventare comandante di una nave.
Tra gli altri attori ovviamente spiccano lo svedese Alexander Skarsgård, noto per True Blood, il sempre bravo Liam Neeson, la bellissima Brooklyn Decker e Rihanna. Quest’ultima, alla prima prova come attrice, se la cava egregiamente nel ruolo della soldatessa impertinente, ma pronta a tutto per il suo comandante. Una cosa che purtroppo non si potrà notare nei cinema italiani è la forte parlantina da “nigga” della ragazza originaria delle Barbados. Un giorno, forse, impareremo a vedere i film in lingua originale come negli altri paesi?
Battleship, nonostante le forti somiglianze con Transformers, risulta essere un film divertente e godibile. Una pellicola spensierata, a parte il timore di un’invasione aliena, che è costata 150-200 milioni di dollari e che, ne siamo sicuri, riuscirà tranquillamente  bissare il costo di produzione.

Battleship
Regia:Peter Berg
Sceneggiatura: Jon Hoeber, Eric Hoeber
Interpreti: Taylor Kitsch, Alexander Skarsgård, Rihanna, Brooklyn Decker, Tadanobu Asano, Hamish Linklater:, Liam Neeson
Durata: 131′
Produzione: USA, 2011
Distribuzione: Universal Pictures, 13 aprile 2012

lunedì 23 aprile 2012

Act of Valor

Act of Valor inizia con l’esplosione di un camionicino dei gelati in una scuola privata nelle Fillippine, mentre a 10.000 km di distanza, in Costa Rica, gli uomini di uno dei migliori reparti speciali del mondo, i SEAL della Marina Americana, sono pronti a tutto pur di recuperare una donna che a loro insaputa porterà con sé informazioni che collegheranno i due fatti e che allo stesso tempo faranno spostare di continuo i soldati da un emisfero all’altro del globo.
Il film, realizzato con veri SEAL, vere armi, veri mezzi, traballa tra splendidi effetti visivi/suggestivi e una trama confusa, per quanto creata dallo stesso sceneggiatore di 300, Kurth Johnstad. I continui cambi di scenario non aiutano lo spettatore e nemmeno i dialoghi, stizziti, asciutti, che forniscono semplicemente informazioni del tipo: l’obiettivo è quello. Recuperate, distruggete, etc. D’altro canto gli amanti dei film d’azione non potranno fare a meno di godere di fronte a tutti questi “Rambo” che colpiscono con la precisione di un samurai e la forza di un orso.
Act of Valor è una pellicola che punta al realismo però arrivando all’esagerazione perché alcune scene sembrano girate semplicemente per mostrare la potenza dell’esercito americano esaltandone i mezzi: ad esempio, ci sono tre minuti di film dove si vedono i soldati buttarsi giù da un aereo, aprire il paracadute e finire in mezzo all’oceano per poi essere recuperati da un sottomarino nucleare, sottomarino che partorirà una mini versione di se stesso che porterà un paio di SEAL sulla terra ferma dove scatteranno un paio di foto e torneranno indietro. Uno spreco totale di risorse che nella realtà non accadrebbe mai.
L’idea generale, a visione ultimata, è che film abbia avuto l’appoggio dei SEAL per un semplice motivo: propaganda. Da diversi anni l’esercito americano cerca di reclutare uomini e donne facendosi notare in ogni modo possibile, ad esempio, nel 2005 con l’appoggio del governo americano è stato sviluppato il videogioco gratuito American’s Army; particolarmente in voga tra i giovani, più nemici si uccidono, più si acquistano “punti onore” e quindi gloria.

Act of valor
Regia: Mike “Mouse” McCoy, Scott Waugh
Sceneggiatura: Kurth Johnstad
Interpreti: veri SEAL, Roselyn Sanchez, Alex Veadov, Jason Cottle, Nestor Serrano, Gonzalo Menendez, Emilio Rivera
Durata: 101′
Produzione: USA, 2011
Distribuzione: M2 Pictures, 4 aprile 2012

lunedì 2 aprile 2012

I colori della passione



Non è un film per tutti I colori della passione, eppure dopo il Sundance Film Festival è stato comprato da 54 paesi di cui 47 l’hanno distribuito nei cinema. Ora a questi paesi si è aggiunta anche l’Italia e il regista e artista polacco, Lech Majewski, si chiedeva come mai noi italiani fossimo così stupiti che un film incentrato sulla pittura  – su un singolo quadro, a dire il vero – venisse distribuito in Italia, il paese dove sono nati i più grandi pittori e artisti d’ogni epoca, il paese dove lui sin da ragazzino veniva ad ammirare le opere nei nostri musei. E con un po’ di vergogna, bisogna ammetterlo, gli si è spiegato che qui la cultura “non tira”, non va di moda, e il nostro paese più che un enorme museo sta diventando un gigantesco magazzino dove le opere vengono ammucchiate e lasciate ad ammuffire.
Nonostante questa premessa, I colori della passione rimane un film che non è adatto a tutti. Ispirato al dipinto del 1564 La salita al Calvario, del pittore fiammingo Pieter Bruegel e basato sul libro di Michael Francis Gibson, The Mill and the Cross, il lungometraggio ci fa entrare all’interno del quadro e allo stesso tempo ce lo fa osservare dagli occhi di Brugel mentre lo realizza. Gli oltre 500 personaggi del quadro, inizialmente esplorati da Michael Francis Gibson nel libro The Mill and the Cross da cui Majewski ha tratto il film, si muovono intrecciando le loro storie, o rimangono fermi, pronti ad essere dipinti da uno dei pittori più amati del ’500, e piano piano la storia va avanti, pur non essendo importante, perché allo spettatore interesserà immergersi in quei colori che portano gioia agli occhi.
La pellicola in buona parte delle scene è una serie di dipinti disegnati dallo stesso Majewski, dipinti sui quali si muovono i vari attori, con una telecamera che spesso rimane fissa, immobile, e che ai più giovani farà pensare ai quadri che si vedono in Harry Potter. In altri casi la telecamera riprende in modo naturale, il modo cui siamo abituati, però sullo sfondo è sempre presente un dipinto realizzato da Majewski, che va a creare un aspetto suggestivo e poetico, quasi fosse una favola.
I colori della passione non è un film, è una grande opera d’arte, un’opera che va esplorata piano piano, che bisogna essere consapevoli di andare a vedere. Un’opera lenta, con dialoghi ridotti all’osso per favorire la scenografia e le colonne sonora creata sempre da Majewski. Lo si potrebbe definire un quadro della nostra epoca, e infatti Majewski nella conferenza stampa dirà che i pittori di allora, se fossero nati oggi farebbero film. Non a caso spezzoni del film sono esposti alla Biennale di Venezia e in tutti i musei più importanti del mondo.

I colori della passione
The Mill and the Cross

Regia, sceneggiatura, scenografia, colonna sonora: Lech Majewski
Interpreti: Rutger Hauer, Michael York, Charlotte Rampling, Joanna Litwin, Marian Makula, Dorota Lis
Durata: ’92
Produzione: Polonia, Svezia, 2011
Distribuzione: CG Home Video, 30 marzo 2012

The lady – L’amore per la libertà


Non importa quale sia il genere di film che preferiate, perché Luc Besson è un regista unico, un regista a cui piace scoprire e cimentarsi con tutto il panorama cinematografico, dai film d’azione con alta dose di adrenalina, ai cartoni animati per bambini. Titoli come Nikita, Il quinto elemento, Taxxi, Arthur e il popolo dei Minimei, The Transporter, sono sicuramente balenati anche davanti agli occhi dello spettatore meno appassionato, e quasi certamente prima o poi quello spettatore scoprirà anche The lady, una di quelle pellicole che si appropria delle cellule del cervello e non le lascia più andare, insomma, uno di quei lungometraggi che rimane in testa come se non avessimo nient’altro a cui pensare.

The lady racconta la storia di Aung San Suu Kyi, una donna birmana costretta a scegliere tra l’amore verso suo marito e i suoi figli e quello per la propria patria. La signora Suu è realmente esistita e, anzi, è ancora viva, ma ha passata gran parte degli ultimi decenni rinchiusa in una casa e allontanata dal contatto con le persone esterne al regime tuttora in carica. Questa donna ha inoltre vinto il premio Nobel per la pace nel 1991, Nobel che non ha fatto che rafforzare nel regime l’idea che dovesse essere isolata dal mondo e così è successo: infatti in molti sanno delle centinaia di migliaia di monaci in rosso che protestarono contro il regime nel 2007 (di cui almeno un decimo vennero sterminati insieme ai loro monasteri), in pochi sanno che questi monaci protestatono anche per Aung San Suu Kyi e che si fermarono davanti la sua casa, dove lei, ovviamente, non potè uscire.
Quando Michelle Yeoh, colei che interpreta Aung San Suu Kyi, portò la sceneggiatura a Luc Besson sperava semplicemente di trovare un produttore, e invece Besson si appassionò alla storia, si commosse, pianse, e decise di abbandonare ogni suo altro progetto a favore di questa tragedia umana che secondo lui doveva essere assolutamente raccontata. L’entusiasmo iniziale ha dato poi da slancio a tutto il film che è stato portato avanti nonostante la quasi totale impossibilità di reperire informazioni (in Birmania il visto lo si può ottenere solo per pochi giorni e nessuno ha il coraggio di parlare) e di girare nei luoghi dove sono avvenuti i fatti. La pellicola, tranne per alcune riprese effettuate di nascosto da Besson, oltre che in Gran Bretagna dove si trovavano i figli e il marito della donna, è stato girato nella vicina Tailandia, territorio attezzattissimo per le riprese cinematografiche, dice Besson, il cui paesaggio naturalistico è praticamente identico a quello birmano.
La sceneggiatura, inizialmente troppo sottoforma di documentario, è stata aggiustata in maniera tale da mostrare l’enorme amore di Suu Kyi verso la sua famiglia, anche se comunque la donna ha fatto delle scelte che la maggior parte dei genitori non farebbero, e il risultato è stato una pellicola commovente che scuote l’animo dello spettatore. La Good Films, una nuova casa di distribuzione nostrana, invade i cinema italiani con una pellicola degna del loro nome, e speriamo continuino su questa strada!

The lady – L’amore per la libertà
The lady
Regia: Luc Besson
Sceneggiatura: Rebecca Frayn
Interpreti: Michelle Yeoh, David Thewlis, Jonathan Raggett, Sahajak Boonthanakit, William Hope
Durata: 132′
Produzione: Tailandia, Gran Bretagna, Francia, 2011
Distribuzione: Good Films, 23 marzo 2012

Il mio migliore incubo!


La trama è quella classica di questo genere di commedie: uno scapestrato incontra una fine donzella e si accende una scintilla che scombussolerà la vita di entrambi segnandola profondamente. La qualità di questo film francese è decisamente superiore alla media perché oltre a far ridere, riesce con un pizzico d’ironia a far riflettere sui gravi problemi che sono costrette ad affrontare le famiglie oggigiorno, come teoricamente dovrebbe accadere in ogni commedia familiare che si rispetti .

In questo caso abbiamo un uomo, Patrick, con un figlio molto intelligente a carico, e Agathe, una donna non sposata che comunque convive con il padre di suo figlio, un ragazzino non troppo sveglio. Il primo sopravvive facendo lavoretti d’ogni genere e durante l’estate precedente al loro incontro aveva vissuto con il figlio in un furgone; la seconda invece è una gallerista di successo con un marito editore e vivono in una casa lussuosa nel centro di Parigi. Quando scopriranno che i loro figli sono migliori amici, sarà come accendere dei petardi dentro casa, botti fragorosi che sconvolgeranno le loro famiglie.
Dalla stessa regista di Coco avant Chanel, Anne Fontaine, arriva in Italia con un film di personaggi dai caratteri veri e vivi, che cambiano, imparano e crescono a seconda delle situazioni. E seppur sin dall’inizio sarà facile immaginare dove si andrà a parare, la voglia di dilettarsi con la visione di questa pellicola non verrà meno. L’unica nota stonata, se proprio vogliamo essere capillari, è data dal fatto che il rapporto tra i due figli non è approfondito dalle telecamere, che lasciano largo spazio all’immaginazione dello spettatore.

La Bim si conferma distributore di pellicole cinematografiche di alta qualità: dopo i premiatissimi The Artist e The Iron Lady ecco un altro film con le potenzialità di ottenere quel binomio incassi/standard elevati, che nei lungometraggi odierni non è  facile da trovare.

Il mio migliore incubo!
Mon pire cauchemar
Regia: Anne Fontaine
Sceneggiatura: Nicolas Mercier, Anne Fontaine
Interpreti: Isabelle Huppert, Benoit Poelvoorde, André Dussollier, Virginie Efira, Corentin Devroey, Aurélien Recoing, Éric Berger, Philippe Magnan, Bruno Podalydés, Samir Guesmi
Durata: ’99
Produzione: Francia, 2011
Distribuzione: Bim, 30 marzo 2012

The Raven

È difficile dire se la alte aspettative siano stata la rovina di questo film, ma il sentore di qualcosa che non andava ce lo avremmo dovuto avere quando sia Jeremy Renner che Ewan McGregor rifiutarono i due ruoli principali di The Raven. Bisogna però dire che John Cusack e Luke Evans non hanno recitato male, anzi, si sono applicati più che discretamente a un prodotto che pecca in diversi punti.
All’inizio del film osserviamo il celebre scrittore  Edgar Allan Poe seduto su una panchina in un parco di Baltimora e allo stesso tempo ci viene annunciata la sua imminente morte. Poi si torna indietro di qualche giorno, gli ultimi di vita di Poe, quelli di cui non si sa nulla e lì inizia veramente la pellicola. Lo scrittore non ha un soldo, sembra indebitato con tutti e mentre viene sbattuto fuori da un pub, qualcuno commette un duplice omicidio utilizzando gli stessi stratagemmi di un suo racconto. Poe, ignorando tutto ciò, continua invece le sue dichiarazioni d’amore alla bella Emily, il cui padre non vuole proprio lasciare andare. Nel frattempo l’ispettore di polizia riversa tutti i suoi sospetti verso Edgard, e così ci sono tutte le premesse per una grande storia. Premesse che poi però non verranno rispettate.
Nel mondo del cinema le carni sacrificali sono quelle degli sceneggiatori: quando il prodotto va bene è sempre merito del regista e degli attori, quando il prodotto va male la colpa va sempre a loro. Purtroppo è difficile puntare l’indice altrimenti e ci si chiede come diavolo non siano riusciti ad affrontare una splendida idea (quella di un tizio che commetteva omicidi identici ai racconti di Poe) senza dargli spessore. Però forse, almeno in questo caso, la colpa è del regista, che dopo esser stato assistente nella saga di  Matrix e soprattutto dove aver raggiunto il successo con V per Vendetta, non è riuscito a combinare delle idee interessanti per formare un prodotto che non lasci perplessi. Bisogna dirlo: The Raven scorre, scorre bene, solo che non si riesce ad uscire dalla sala soddisfatti e questa è la sua più grande rovina.
Edgard Allan Poe anche questa volta non è riuscito a trovare nessuno in grado di trasferire su pellicola in maniere decente i suoi racconti, l’unica cosa che sono riusciti a fare è rinnovare la sua fama, e probabilmente per lui è meglio così. Meglio leggerlo che vederlo.


The Raven
Regia: James McTeigue
Sceneggiatura: Ben Livingston, Hannah Shakespeare
Interpreti: John Cusack, Alice Eve, Luke Evans, Brendan Gleeson, Kevin McNally, Pam Ferris, Dave Legeno, Brendan Coyle, Oliver Jackson-Cohen, Jimmy Yuill, Sam Hazeldine
Durata: 109′
Produzione: USA, Serbia, Ungheria – 2011
Distribuzione: Eagle Pictures, 23 marzo 2012

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