sabato 25 febbraio 2012

Intervista a Michel Hazanavicius (The Artist)


Dopo la proiezione in anteprima di The Artist al cinema Quattro Fontane, è entrato in sala il regista, Michel Hazanavicius, per una breve conferenza stampa in un’atmosfera buia, quasi in bianco e nero come il film (ma per fortuna l’audio c’era) e abbiamo avuto modo di porre alcune domande.
Quali sono state le reazione dei produttori a cui ha proposto il film?
Qualcuno ci ha pensato, ma la maggiorparte, prima o dopo, si sono dileguati. Thomas Langman invece ha accettato la proposta fino all’estremo, andando persino a investire del denaro personale, cosa assolutamente non frequente nel mondo del cinema. Lui mi ha dato fiducia e ha dato fiducia a un’idea che non era neanche la sua. Gli sono estremamente grato.
Come ha lavorato con gli attori?
Ho chiesto ai miei attori di lavorare in modo molto naturale, e ovviamente ho fatto vedere loro un sacco di film dell’epoca. Ho utilizzato la telecamere da 22 immagini al secondo, che conferiscono al film l’aspetto tipico di quelli di fine anni 20. Ho fatto recitare gli attori al suon della musica e il risultato è stato ottimo.
The Artist sta avendo un enorme successo di critica.
La candidatura all’Oscar non me l’aspettavo, io mi preoccupo solo di dare emozioni al mio pubblico, al resto ci pensano i pubblicitari, i distributori, etc. Io immaginavo che sarebbe stato un bel film, mi piaceva, però c’era tanta gente che mi diceva: “Nessuno andrà a vederlo!”, e alla fine tu ci credi che nessuno andrà a vederlo, poi però è accaduto esattamente il contrario!
Farà un seguito?
Fino a poco tempo io stesso pensavo che il muto fosse qualcosa di vecchio, e invece adesso mi sto ricredendo, ma non so se farai un altro film.
Come mai la scelta di fare un film in bianco e nero?
Si dice che il bianco e nero sia il miglior amico degli attori, perché non mostra le imperfezioni della pelle, come macchie e rossori. Inoltre il bianco e nero stimola lo spettatore a ridare un colore alle cose. Più che bianco e nero io ho utilizzato la scala dei grigi: diciamo che ho utilizzato un bianco e nero molto netto, e quindi con molto contrasto, quando le cose andavano bene; quando le cose però era meno positive utilizzavo di più il grigio, e in maniera leggera, per creare meno contrasto.
Sappiamo che Chaplin per anni si rifiutò di passare al sonoro perché affermava che avrebbe guadagnato di meno di quanto avrebbe perso con la sconfitta del muto. Ci sono alcune somiglianze…
Chaplin l’ho visto diverse volte, e anche i miei figli. Sì, mi rendo conto che ci possono essere dei riferimenti, come ad esempio il tip tap, però la storia è completamente diversa. Chaplin era talmente perfetto nel modo in cui gestiva i personaggi, che Charlotte non doveva parlare, non poteva essere una che parlava, sarebbe stato come chiedere a Picasso di fare il fotografo. Sicuramente abbiamo guadagnato molto con il parlato, perché è stato possibile raccontare storie più complesse, creare personaggi più scavati e complicati, però da qualche parte si è persa l’utopia di un linguaggio universale, l’utopia di un certo linguaggio cinematografico. Peccato che il parlato sia arrivato così presto, siccome io dico che se fosse arrivato anche solo 10 anni più tardi, in quel periodo si sarebbero potuti fare dei film splendidi.
Come sono andate le vendite dei diritti all’estero?
Questo film è nato sotto una buona stella. Harvey Weinstein stava cercando un film da portare agli Oscar e, incuriosito da The Artist, è venuto in Francia a vederlo e poi ne ha comprato i diritti per la distribuzione in USA, Gran Bretagna e Australia. Tutto ciò era successo prima di Cannes, e potete immaginare che effetto fa presentarsi a un festival internazionale con le spalle coperte da un nome così importante.

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